Servizio di Ortopedia e Traumatologia EOC

Instabilità/lussazioni della spalla Indietro

L’instabilità è una condizione patologica che si manifesta con dolore associato ad un eccessivo spostamento della testa omerale nella glenoide durante il movimento attivo della spalla. Non bisogna confondere la lassità con l’instabilità: la lassità è rappresentata da una passiva traslazione della testa omerale nella glenoide che non si associa a dolore.
È presente in vario grado in una spalla normale, è asintomatica ed è richiesta per consentire un fisiologico movimento gleno-omerale senza restrizioni. Il grado di lassità può essere condizionato dall’età, dal sesso, da fattori congeniti, ecc.
La lassità, a sua volta, può rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di una instabilità clinica.
Il primo caso descritto di lussazione di spalla si trova in uno dei più vecchi libri scritti dall’uomo, il Papiro di Edwin Smith (3000-2500 a.C).
In letteratura sono state descritte più di 150 tecniche chirurgiche utilizzate per curare i pazienti con lussazione recidivante, da quelle invasive e invalidanti a quelle più funzionali:
Le vecchie tecniche chirurgiche utilizzavano: ancore, trasposizione muscolare del sottoscapolare, accorciamento del sottoscapolare, trasferimento della coracoide, osteotomia dell’omero, ecc. In tutti i casi, spesso si verificava una grossa perdita di mobilità specialmente in extrarotazione. Tale perdita di movimento poteva condurre ad artrosi postoperatoria gleno-omerale. Attualmente le tecniche chirurgiche tendono a restaurare i normali rapporti gleno-omerali attuando una riparazione il più possibile anatomica. Un intervento riuscito non deve raggiungere solo la stabilità dell’articolazione, ma anche eliminare il dolore e concedere un arco di movimento pressoché normale. Un buon risultato può essere rappresentato dalla perdita di 5°-7° di rotazione esterna.

 

Introduzione
Le articolazioni del corpo possiedono degli elementi di stabilizzazione che si dividono in due principali categorie: 1 – stabilizzatori passivi, 2 – stabilizzatori attivi. Entrambi partecipano insieme al mantenimento della stabilità statica e dinamica dell’articolazione. Il deficit funzionale di uno solo di questi componenti non è sufficiente per l’insorgenza di una instabilità clinica. Spesso il paziente, che possiede una carenza delle strutture statiche, lamenta il sintomo durante il mantenimento di posizioni passive o nel raggiungimento attivo di movimenti di grande ampiezza (durante il sonno o nelle prime fasi del risveglio, in stazione eretta con braccio lungo il fianco, in appoggio passivo ad un sostegno con mano o gomito, durante il raggiungimento della massima ampiezza del movimento mantenuto in forma passiva o in modo attivo). L’attivazione muscolare e la riduzione del range di movimento producono una attenuazione dei sintomi o una sensazione di beneficio. La direzione dell’instabilità traumatica è anteriore in circa il 95% dei casi, posteriore nel 4% e inferiore nel restante 1%. La lussazione traumatica interessa (indistintamente) qualsiasi persona soggetta ad un trauma (caduta accidentale, movimento violento di abduzione ed extrarotazione), indipendentemente dall’età, dal sesso e dall’attività professionale, mentre la microistabilità di spalla è caratteristica dei soggetti giovani o degli sportivi che compiono gesti ripetitivi di lancio (sport oltre il capo: pallavolo, pallamano, pallanuoto, tennis, lancio del giavellotto, baseball, ecc.). La maggiore elasticità, caratteristica dell’età giovanile, rappresenta una qualità e allo stesso tempo un difetto se non supportata da adeguato e specifico rinforzo muscolare. Possiamo, così, distinguere tre principali categorie di pazienti affetti dal disturbo:
1 – pazienti instabili per cause traumatiche (T.U.B.S.);
2 – pazienti generalmente lassi con instabilità multidirezionale (A.M.B.R.I.);
3 – pazienti con instabilità acquisita conseguente a gesti sportivi ripetuti (A.I.O.S.);
Questi tre gruppi ben noti e studiati possono essere affiancati da altre due tipologie di pazienti con instabilità di spalla:
1 – “pazienti” lussatori volontari (anteriori, posteriori, inferiori);
2 – pazienti con instabilità conseguente a deficit muscolari (lesioni massive della cuffia dei rotatori e importanti deficit del deltoide), o a danni neurologici.
É indispensabile che il terapista conosca a quale gruppo appartiene il paziente che sta curando.Il trattamento riabilitativo conservativo o post-chirurgico deve tenere in considerazione le differenti cause d’instabilità al fine di strutturare il percorso più opportuno.

 

Lussazione Traumatica (T.U.B.S. – Traumatic Unidirectional Bankart Surgery)
Oltre al trauma, che ha prodotto un primo episodio di lussazione di spalla, occorre accertare la presenza di eventuali lesioni associate di natura vascolare, neurologica, tendinea ed ossea. Una volta verificata l’eventuale assenza o presenza non rilevante di queste lesioni associate, si consiglia una immobilizzazione del braccio in tutore per un periodo medio di 21 giorni. Tale periodo può variare in relazione all’età e alle caratteristiche tissutali del paziente. Nei pazienti giovani (sotto i 20-25 anni), viste le alte percentuali di recidiva di lussazione, si potrà indicare un periodo di quattro settimane di tutore (specialmente se costituzionalmente lassi e/o ipotonici) allo scopo di consentire una maggiore cicatrizzazione o favorire una “rigidità articolare”, che verrà recuperata con il trattamento riabilitativo. Negli adulti sopra i 60-65 anni, visti i minori rischi di recidiva e le alte complicanze di rigidità post-traumatica, si consiglia un periodo d’immobilizzazione più breve che si aggira intorno alle due settimane. Alla rimozione del tutore il trattamento riabilitativo potrà prendere due distinte direzioni. Inizialmente tutti i pazienti sono invitati ad eseguire esercizi autogestiti per il recupero dell’articolarità (carrucola, autoallungamenti, esercizi in piscina riabilitativa, ecc.): coloro che manifestano un rapido recupero del movimento, indice di scarsa cicatrizzazione del comparto capsulo-legamentoso e di conseguenza ad alto rischio di recidiva, saranno indirizzati verso una attività specifica di rinforzo; gli altri che presentano una limitazione persistente del movimento, indice di una eccessiva cicatrizzazione, continueranno gli esercizi autogestiti d’allungamento associando a questi le mobilizzazioni passive, effettuate dal fisioterapista. I pazienti che appartengono al primo gruppo saranno, in un primo momento, ottimisti per il veloce recupero funzionale, ma dovranno essere messi a conoscenza dell’alto rischio di recidiva, nel quale possono incorrere. Viceversa i pazienti con rigidità articolare post-immobilizzazione dovranno sottoporsi ad un periodo più lungo di riabilitazione per il recupero del R.O.M., sarà, però, più difficile incorrere in banali episodi di recidiva.
Per entrambi i gruppi è necessario il rinforzo dei muscoli stabilizzatori G/O. Nei pazienti, con instabilità anteriore, si porrà maggiore attenzione al rinforzo del “muro anteriore”, costituito dai muscoli sottoscapolare, deltoide anteriore e C.L.B. Nei pazienti con instabilità posteriore gli esercizi saranno rivolti ai muscoli sottospinato e deltoide posteriore. Trascorsi tre mesi dall’evento traumatico, si consiglia l’esecuzione di un test per valutare i valori di forza raggiunti e il rapporto percentuale della forza tra i gruppi muscolari rotatori esterni ed interni. Si consiglia il ritorno al gesto sportivo una volta raggiunti valori di forza non inferiori al 90% rispetto al braccio controlaterale (la percentuale rappresenta una maggiore garanzia di stabilità). Le sollecitazioni meccaniche, presenti nei movimenti di grande ampiezza, sono generalmente assorbite sia dagli stabilizzatori attivi che da quelli passivi. Maggiore è la forza di quelli attivi, minori saranno gli stress meccanici su quelli passivi.

 

Instabilità Multidirezionale (A.M.B.R.I. Atraumatic Multidirectional Bilateral Rehabilitation Inferior Capsular Shift)
Le donne, in media, vengono interessate dalle patologie di spalla in misura maggiore rispetto agli uomini; al tempo stesso l’arto non dominante delle giovani donne è più sensibile alla comparsa del dolore, rispetto agli uomini di pari età (sesso femminile = maggiore lassità. Arto non dominante = minor tono muscolare). Sesso, età, tono muscolare e dominanza rappresentano chiari fattori di rischio per l’insorgenza del dolore di spalla secondario a microinstabilità.
In questa categoria di pazienti il rinforzo muscolare generalizzato, condotto in forma preventiva, costituisce l’approccio rieducativo migliore. In alcuni di questi pazienti, l’instabilità è così accentuata da favorire la comparsa di parestesie diffuse lungo il braccio, quando l’arto è mantenuto in posizione di riposo lungo il fianco. In questa posizione, la stabilità è a carico delle strutture passive che, essendo eccessivamente lasse, favoriscono la “discesa” dell’omero con conseguente trazione del plesso. Per attenuare questo fastidioso sintomo, i pazienti mantengono in modo istintivo le braccia conserte, la mano dentro la tasca dei pantaloni o al fianco, il braccio in appoggio sulla borsa posta a tracolla, allo scopo di sostenere il peso del braccio. Il semplice recupero del tono muscolare, in special modo del deltoide, può attenuare o risolvere la sintomatologia. Raggiunto il tono muscolare garante di una maggiore stabilità, si consiglia di continuare con un programma di mantenimento della forza, periodico e costante.

Instabilità acquisita conseguente a gesti sportivi ripetuti (A.I.O.S. – Acquired Instability Overstress Surgery)
La continua ripetizione dei gesti tipici del lancio, protratta nel tempo, può determinare un indebolimento delle strutture stabilizzatrici anteriori. Tale deficit favorisce la traslazione anteriore dell’omero durante il gesto di caricamento effettuato nella posizione di abduzione ed extrarotazione (posizione di AB-ER). L’alterazione del centro di rotazione dell’omero determina la compressione del tendine del sovraspinato tra il trochite e il margine postero-superiore della glena (conflitto postero-superiore). È per questo motivo che, all’anamnesi, lo sportivo riferisce la comparsa del sintomo solo durante l’esecuzione della battuta o della schiacciata. La valutazione clinica comparata delle strutture passive anteriori può essere effettuata semplicemente posizionando il paziente in decubito supino con le braccia abdotte ed extraruotate (braccia a candelabro). Il braccio dominante presenta una rotazione esterna maggiore rispetto al controlaterale. La maggiore ampiezza, per avere una valenza clinica, deve essere necessariamente associata ad un sintomo. Gli sport over-head non solo possono compromettere le strutture stabilizzatrici anteriori, ma, al tempo stesso, favorire la perdita dell’elasticità distrettuale della capsula posteriore: tale retrazione si manifesta con una perdita della rotazione interna passiva. Possiamo affermare che la spalla dell’atleta presenta una instabilità particolare rispetto a quelle osservate in precedenza. Mentre le strutture passive anteriori sono lasse, quelle posteriori sono anelastiche: l’asimmetria tra le “briglie passive” anteriori e posteriori, accresce l’instabilità anteriore. In questi casi il trattamento riabilitativo è rivolto al rinforzo del muro muscolare anteriore, per compensare l’omologo deficit capsulo-legamentoso; al tempo stesso, la perdita di mobilità in intrarotazione, giustifica gli esercizi d’allungamento, rivolti al solo recupero dell’elasticità della capsula posteriore.

Instabilità volontaria (anteriore, posteriore, inferiore)
Rientrano in questa categoria quei pazienti che, consapevolmente o inconsapevolmente, in modo attivo o in modo passivo, sono in grado di produrre una dislocazione articolare di piccola o di grande ampiezza. Generalmente questo aspetto particolare dell’instabilità vede protagonisti persone giovani (min. 9 anni, max 50 anni), con lassità costituzionale, scarso tono muscolare e grandi capacità di controllo dei movimenti G/O e scapolo-toracici. La maggioranza dei lussatori esegue uno spostamento postero-inferiore dell’omero, una percentuale minore è in grado di deprimere inferiormente l’omero e solo una piccola parte è capace di lussare anteriormente la testa dell’omero. Le differenti percentuali hanno una spiegazione anatomica che interessa le componenti capsulo-legamentose, ossee e muscolari:
- la capsula posteriore non è rinforzata dai legamenti come, invece, lo è quella anteriore;
- la retroversione della glena (es. glena destra, obliquità del piano osseo glenoideo dall’esterno verso l’interno, da anteriore a posteriore), crea una maggior barriera allo scivolamento anteriore, favorendo quello posteriore. Allo stesso tempo il diametro antero-posteriore della glena presenta una porzione ossea sottoequatoriale più ampia anteriormente;
- le componenti muscolari anteriori sono più forti e in numero maggiore (sottoscapolare, C.L.B., deltoide anteriore, gran pettorale) nei confronti di quelle posteriori (sottospinato, deltoide posteriore), garantendo una maggiore stabilità attiva anteriore.
Alcuni aspetti clinici accomunano i lussatori:
- il movimento volontario di lussazione è il prodotto di una contrazione muscolare attiva (prevalentemente il gran dorsale per la lussazione posteriore e il gran pettorale per quella anteriore). Poiché la lussazione è l’effetto di un’azione volontaria, difficilmente il “paziente” rilasserà il braccio durante le manovre valutative passive, realizzate dell’operatore. In genere, durante il movimento di anteposizione, il paziente lascia il braccio rilassato nei primi gradi del movimento (da 0° a 40-60°), per poi attivarlo nella restante parte del movimento (60°-90°), range nel quale è in grado di riprodurre meglio la microinstabilità.

Caratteristiche:
- la manifestazione dell’instabilità avviene a piacimento o a richiesta;
- non vi è dolore o è presente una finta manifestazione algica aspecifica;
- la possibilità di eseguire il gesto lussante effettuando sempre il medesimo movimento;
- l’arto interessato è, nella maggior parte dei casi, quello dominante, cioè quello con maggiori capacità coordinative, che il paziente è in grado di controllare e gestire con facilità;
- nei lussatori o nei pazienti con microinstabilità posteriore, è possibile osservare una depressione in prossimità della zona occupata dai fasci anteriori del deltoide, segno tangibile dello spostamento postero-inferiore dell’omero. L’aspetto visivo si riscontra con maggiore facilità nei pazienti magri e più difficilmente in quelli robusti;
- la depressione anteriore si associa ad un aumento del volume nella parte posteriore della spalla, sede in cui la testa dell’omero si è spostata;
- l’operatore, posizionando la propria mano nella porzione posteriore della spalla, può spesso percepire un “click” articolare durante la fase di discesa del braccio, segno di un ritorno dell’omero nella posizione fisiologica;
- spesso il paziente, raggiunta la posizione di braccio lungo il fianco, esegue una piccola circonduzione del moncone allo scopo di riposizionare l’omero. Questa circonduzione viene riprodotta molte volte durante il giorno divenendo in alcuni casi quasi un tic. Il paziente stesso riferisce di compiere il gesto in modo abitudinario, attribuendo alla sua manifestazione un senso di sollievo o benessere.
Le capacità di controllo possono diversificarsi da persona a persona; alcuni sono in grado di lussarsi soltanto creando una catena cinetica chiusa (con le mani unite o con la mano in appoggio al fianco o su qualsiasi altro punto d’appoggio come un tavolo o una scrivania), altri devono deprimere la spalla, iperangolare la scapola ed intraruotare l’omero, altri ancora sono così “bravi” da riuscire nell’intento qualsiasi sia la posizione del braccio.
I motivi che spingono queste persone a compiere gesti anomali negandone la volontarietà, possono essere molteplici.
Per alcuni, i più giovani, significa porsi al centro dell’attenzione degli amici o dei familiari, per altri, i più grandi, possono evidenziarsi problematiche lavorative o assicurative. Qualunque siano i motivi, in questi casi c’è una controindicazione assoluta al trattamento chirurgico. L’ ortopedico deve riconoscere la “volontarietà” ed indirizzare il paziente verso un approccio conservativo e/o psicoterapeutico. Il riconoscimento di queste “prodezze”, purtroppo in molti casi, non avviene ed il paziente è sottoposto ad intervento chirurgico (anche più d’uno), con scarsi se non inesistenti risultati.

Instabilità conseguente a deficit muscolari (cuffia dei rotatori e deltoide)
La stabilità dell’omero nei confronti della glena è data dal giusto equilibrio tra fattori statici e fattori dinamici. Mentre le prime tre categorie di pazienti (T.U.B.S. – A.M.B.R.I. – A.I.O.S.) sono interessate da un deficit che coinvolge le componenti statiche, in questo gruppo di persone la stabilità è compromessa da importanti carenze delle componenti stabilizzatrici attive.
Rientrano in questa categoria i pazienti con lesioni della cuffia dei rotatori, in misura maggiore quelli con lesioni antero-superiori (sottoscapolare, sovraspinato e C.L.B.), i quali presentano non soltanto una risalita dell’omero, ma un suo scivolamento antero-superiore, che si accentua durante il tentativo di abdurre attivamente il braccio.
L’importanza della stabilità muscolare è evidente nei pazienti con lesione irreparabile della cuffia operati in artrotromia. Se l’accesso chirurgico non è ben eseguito, il danno subito dal deltoide riduce le capacità funzionali. In assenza del sottoscapolare i fasci anteriori del deltoide costituiscono le uniche strutture attive che stabilizzano l’omero anteriormente: il recupero dei movimenti diventa impossibile. Altre caratteristiche assumono i pazienti con deficit isolato del deltoide, sia esso di natura ortopedica che neurologica. La testa dell’omero si abbassa, non più sostenuta dalla componente tonica del muscolo. Nella radiografia lo spazio sub-acromiale risulta più ampio e visivamente abbiamo la presenza del solco. 

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